martedì 29 gennaio 2008

Rosandra era il suo nome

C'era una volta..c'era..
una valle ed un vecchio Castello, detto di Moccò, questo era il suo nome. Era raggiungibile da uno stretto sentiero a picco sulle rocce, attraversando uno stretto ponte levatoio, era stato costruito su una antica collina ora di aspetto torvo, piccolo, ma imponente, con mura alte e possenti servito da una torre battuta dai venti su uno sperone di roccia, come un nido d'aquila a sentinella di una valle bella e misteriosa. All'ultimo piano di questo maniero, in una piccola e fredda camera in pietra con un camino, alla luce di una lanterna, viveva la giovane e bella Rosandra, figlia del Conte dei Barbamoccolo che da anni ormai governava queste fredde mura. Il castello era un fortilizio militare protetto da una piccola cernita di militi e da una ventina di cavaglieri a estremo baluardo e difesa di queste terre di confine del vecchio Comune di Tergeste. Il Comune per anni rivale nei commerci di Venezia, dopo una ventina di anni di guerre, dopo carestie, era al collasso. Tutti agognavano la pace ma essa non aveva ancora raggiunto questi luoghi, così belli, ma brulli. Dopo le rotte dell'ultimo inverno, la povertà e le miserie della guarra, gli araldi davano per certo un esercito nemico in arrivo in città.

Rosandra durante la guerra aveva vissuto sempre quasi da sola, poche amiche, in attesa di qualcosa o qualcuno che le cambiasse la vita, dalla stanza della torre poteva vedere la valle, gli alberi, il borgo, viveva alla finestra, ma non era libera, anche se poteva muoversi nel cortile del castello. Le mura erano la sua protezione e la sua prigione. Raramente e ben scortata da due damigelle ed un servo, ella usciva al borgo vicino, ma mai più lontano di qualche centinaio di metri da occhi premurosi, ma severi. Correre e giocare lungo i sentieri della sua valle e nei prati, anche da bambina le era proibito. Ma Rosandra non era più una giovinetta, giocare non la interessava più, ormai era una già donna ed il suo passaggio alla maturità le aveva aperto nuovi desideri, nuove aspettative, tuttavia per ora poteva solo sognare una vita di amore. A nessuno del paese era consentito avvicinare Rosandra, il padre ne era gelosissimo, guardingo, un guerriero, un tiranno negli affetti. Tutti allora si guardavano dall'avvicinarsi senza permesso alla giovinetta, essendo ella la figlia del temuto Conte. Al borgo gli uomini del paese, parlavano sempre della piccola principessa Rosandra, ed i cavaglieri tutti ne erano innamorati, spesso fantasticavano sulla sua bellezza, sul dorato colore dei capelli, le lebbra e il suo aspetto delicato. Per i militi invece, una parola di troppo e avrebbero perso la vita. Rosandra cercava il vero amore. Non sognava un cavagliere, un principe, ma un uomo che l'amasse per sempre, che la rapisse e la portasse lontano da quel cupo e triste magnero. Voleva vivere, amare, andare lontano da questi posti tristi e senza pace. Pochi del paese l'avevavo vista di persona: del resto lei era rinchiusa nel castello ed essi erano tutti uomini umili, poveri , dei pastori che anche se fossero giovani non avevano nessuna speranza di avvicinarla o peggio di alzare lo sguardo su di lei. Tuttavia tra loro vi era un giovinetto, gagliardo, di nome Fabiolo, figlio di un falegname, senza paura e di un coraggio da leone, sembrava più un condottiero che un pastore: da quando una sera sotto il castello aveva sentito la voce della Rosandra cantare, lui che già la sognava, si era innamorato perdutamente di lei. Avrebbe affrontato il Conte se serviva, ma era solo un pastore. Non era un incosciente tuttavia, nessuno riuscì a farlo cambiare idea: perchè un pastore con una principessa...che idea..Se è vero che la fortuna aiuta gli audaci, Fabiolo era un temerario: di nascosto e per caso conobbe Rosandra una mattina, ella era stranamente da sola alla fontana nel bosco, senza scorta, le due dame ad una cinquantina di metri ed il servo intento a raccogliere dei prelibati funghi. Fabiolo era bello, robusto e vivace, il mantello rosso copriva i suoi poveri vestiti. Parlarono a lungo: Rosandra se ne innamorò, lo vide con gli occhi dell'amore, non era un cavagliere, ma poteva esserlo, e quella non fu l'ultima volta che si rividero. Si videro ancora di nascosto. Si amarono, seppur di amor platonico ogni sera, lui sotto il castello, lei alla finestra della torre.
Fatto volle che una domenica di dicembre il Conte decise di partire per la lontana Tergeste, assieme ai servitori, due guardie, tutti i cavaglieri, decise di portare con se la moglie e anche la piccola Rosandra. Per una volta avrebbero assistito alla messa di Natale nella cattedrale di S. Giusto, nonostante la guerra, il pericolo, la fame e la città lontana. Sarebbe stato un giorno di pace. Scesi al borgo raggiunta la strada per Moccò si diressero verso Tergeste che avrebbero raggiunto dopo una decina di chilometri a cavallo. Ai piedi della chiusa, Fabiolo che custodiva su un prato il gregge vide da lontano l'arrivo di qualcuno, una decina di cavaglieri, di aspetto non noto di strane insegne, imponenti sui loro destrieri e dal passo cadenzato. Erano armati di tutto punto, le celate sul volto, sconosciuti. "Sono i Barbamoccolo" pensò, "forse c'è anche il Conte e se faccio una bella impressione, potrei sperare di parlargli di Rosandra...ma, no che idea..". Intanto che si avvicinavano li osservò meglio“Che strano..questi cavaglieri non li avevo mai visti al castello, non vedo le insegne del Conte” e si alzò curioso di vedere la parata e salutarli con un cenno. “Magari fossì cavagliere come loro” pensò "potrei sposare Rasandra, la bacerei, la..". Ad un tratto:”ehi tu” disse uno di loro, “ehi stracione!!” sobbalzò..”Cosa? Straccione a me?”. I cavaglieri lo avevano scorto e fermi lo avevano puntato “vieni qui..”. Fabiolo capì che questa parlata non era dei posti, sembrava, Goriziana, veneta...”Oh mio Dio! Sono soldati nemici..” Allora capì: Fabiolo lentamente si alzò. “Qual'è la strada per il castello?” Non era una domanda, ma una minaccia, penso Fabiolo. Non risposse, prese tempo per pensare “Ehi dico a te..sei sordo??” “Giù per la via, signore, il castello sta giù per questa via dietro al bosco su una collina”. Indico con la mano ferma la strada sbagliata. Dentro di se era tutto un subbuglio e forse il rossore d'ira gli avvampava il volto.."Speriamo non se ne accorgano.." pensò.."Questi vogliono far del male alla mia Rosandra, ai miei amici" pensò..I cavaglieri erano sospettosi, ma vista la decisione del giovane, gridarono i destrieri verso qual sentiero..”Bada villico che se mi dici una bugia, ritorno e ti taglio la lingua...”..disse voltandosi uno di loro. Fabiolo deglutì, in effetti la parola Taglio era ancora nelle orecchie che i cavaglieri scesero giù per il sentiero di fretta, di una fretta militare. Fabiolo ripreso dallo stupore corse con tutte le sue gambe verso il castello, "non so se riesco ad avvisare gli altri in tempo...se non faccio in fretta i cavaglieri saranno di ritorno in un baleno ed entreranno nel castello" capì. Ma ecco che per incanto giù per la strada dietro ad una curva incontrò proprio il conte, i soldati, i cavaglieri tutti e Rosandra..che si dirigevano a Tergeste. Rimase imbambolato al sorriso di Rosandra: “Che bella che è..”, subito si riprese: si ricordò dei veneti, delle minacce.."Siete in pericolo mio signore...” e Raccontò del nemico, dei cavaglieri..il Conte, vista la reale foga del giovane, gli credette: in fretta mise in salvo la famiglia e Rosandra, diede ordine di radunare i popolani nel castello, riunì tutti i militi ed i cavaglieri e facendosi accompagnare da Fabiolo andò incontro al nemico. Raggiunta la chiusa i veneti, che intanto si erano accorti di esser stati presi in giro, erano decisi a farla pagare a quel vilico e già che c'erano a tutti i paesani di Moccò, ma non si aspettavano di incontrare così presto i soldati del castello ed il conte armati di tutto punto, in persona. Fu un attimo di esitazione poi una mischia furibonda si accese e veneti e castellani si scontrarono sul posto. Fabiolo ad un tratto vide il conte cadere, i soldati intorno presi in vari duelli individuali, allora prese il suo bastone e preso da un furore guerriero corse in aiuto del Conte, picchiando a più non posso sull'elmo dell'avversario veneto. I castellani che erano in maggioranza misero in fuga i veneti che scapparono via malconci, minacciando vendetta, ma senza l'aiuto di Fabiolo il conte non si sarebbe salvato di certo. Fu così che il giorno dopo, per il servigio prestato Fabiolo fu ringraziato e coperto di onori dal Conte nel centro del paese: anzi per ricompensa lo avrebbe nominato sergente. Tuttavia il Conte sebbene ferito, capì l'interesse di Fabiolo su Rosandra e si preoccupò. "Solo un cavagliere potrà sposare Rosandra" enunciò, e se tu raggiungerai tale grado forse un giorno potrò concederti la mano di mia figlia. Era chiaro che nonostante il servigio prestato, difficilmente Fabiolo poteva sperare di vedersi ufficialmente con la bella Rosandra. Fabiolo nutriva la speranza di sposare Rosandra, bastava che raggiungesse il grado importante di cavagliere. I mesi passarono, Venezia aveva chiuso i commerci e le strade a Tergeste, nessuno pensava più che la guerra sarebbe terminata presto. Un anno dopo Tergeste decise di raccogliere tutti gli uomini in arme dei dintorni e scontrarsi con gli alleati di Venezia per farla finita una volta per tutte. Fabiolo che in questo tempo vivendo al castello continuava a vedersi di nascosto con Rosandra, tra le lacrime di lei, decise di partire al seguito del Conte con l'esercito per meritarsi il grado di cavagliere. I tempi erano cupi e i soldati promettevano qualunque cosa pur di vincere. La battaglia agognata non ci fu, il Cardinale di Gemona in persona intercesse per un armistizio, ma le cronache narrano che in un piccolo scontro prima della battaglia finale, molti militi di Moccò tra cui Fabiolo furono dispersi o rimasti prigionieri. La verità fu che Fabiolo non ritornò più con il Conte a Moccò, nessuno lo vide più.
Quello che successe dopo è solo leggenda: sembra che presa dalla pazzia del tremendo dolore, Rosandra, saputa la notizia della perdita del suo amato, si precipitò dalla rupe dall'alto della torre; il conte impazzì dal dolore e fece demolire il torvo castello con la scusa che esso non servisse più. La leggenda si sparse per il paese, per il territorio: i villici volevano immaginare Rosandra ancora viva, non potevano crederla morta, si diceva che per dolore della perdita di un cavagliere morto alle crociate, ella avesse pianto a dirotto tanto da formare un fiume e il cielo per pietà l'avesse trasformata in una bianca pietra del carso. Un fiume già scorreva in quella valle che da quei giorni ed oggi ancora prende proprio il nome di Val Rosandra.
Ieri come oggi la val Rosandra è uno dei posti più belli di Trieste, luogo di bellissime escursioni è dominata dal fiume omonimo, da una bella cascata, da una valle carsica e quasi dolomitica e dalle rovine del vecchio castello di Moccò. Sembra che in realtà il castello fosse stato diroccato dai Triestini stessi, per timore che cadesse nelle mani venete e che Fabiolo non fosse caduto in quella lontana bataglia ma ritornato a casa da quella avventura di nascosto a tutti, rapì la bella Rosandra che si finse morta. Forse è proprio vero che i due scapparono a quel torvo castello, vivendo fellici e contenti fino alla fine dei loro giorni. La leggenda vive ancora oggi.
Liberamente tratto da una delle leggende di Trieste...

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